19 April 2024

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La scelta

«lo e mio fratello viviamo nel quartiere  Brancaccio di Palermo. Brancaccio è una parola grossa, si pensa subito a mafia, sparatorie, sangue, droga e povertà. In effetti sono termini che identificano bene questo posto. E noi bimbi ne siamo i testimoni, testimoni  di un calvario che non avrà mai fine, continuerà  a sputare sulla nostra vita e a renderla invivibile. Pochi però si lamentano, pochi hanno il coraggio di "una ribellione", quasi nessuno. Dopotutto è la mafia a dare la possibilità  a esseri come noi di mangiare e crescere. Crescere con gli occhi pieni di disperazione e sofferenza, sentendo la vita come una nemica, come volesse punirei. Si diventa presto adulti, qui nel quartiere, s'impara ogni giorno ad affrontare la vita per quello che è, e a risponderle se necessario! Come possono, però, due bambini di cinque anni dover fronteggiare tutti questi ostacoli?Vogliamo solo godere dell'infanzia  e vivere nell'innocenza. Non si può. E' l'ambiente in cui stiamo che ci costringe a maturare  in fretta. Nostra madre "è partita"... le sue ultime  parole furono incerte, prive di significato. Le partenze hanno sempre un ritorno ... forse lei si è dimenticata di specifica rio. Eppure quel particolare  sarebbe stato per noi essenziale, una speranza su cui aggrapparsi in caso di solitudine. Evidentemente non doveva essere così. Di questo, io e mio fratello,non ne facciamo un dramma. Non abbiamo una mamma, è vero. Non abbiamo una presenza fondamentale a proteggerei, ma la forza di cambiamento è ancora tanta. L'arrivo di Don Puglisi ha diffuso un grande spiraglio di luce, una luce eterna se la si difende. Lui ha aperto le porte  della chiesa a noi indifesi. Notai subito la sua determinazione ... s'avvicinò a noi due con aria amichevole, quasi come un padre. Ci accudì con le sole parole e ci fece ritornare bambini con un solo gesto. La sua morte ha significato, un po' per tutti, la vittoria  di quel grande impero  chiamato Mafia, quell'impero che toglie, ma non restituisce, quella forza che devasta e ne va fiera. Noi lo vediamo ancora ... è bello, luminoso, spensierato. Muove la testa come se ci volesse ringraziare, come se la sua anima vigesse ancora sulle nostre vite! Il messaggio che ci vuole inviare è chiaro: "Saremo noi gli artefici del nostro destino."  Noi cambieremo  il nostro. Anche per lui».

Francesca Allevato

III C, I.C. A. Rosmini scuola media Anna Frank

Professoressa  Rita Piperissa, anno 2013/2014

 

 

Fuori dal solito inferno

 

«Quando vidi per la prima volta Don Puglisi, ero a scuola, il solito inferno...entrò  nell'aula e nessuno se ne accorse fin quando non sbatté a terra una scatola di cartone che doveva essere abbastanza pesante, dopo di che ci saltò sopra distruggendo i lati che avrebbero dovuto chiuderla; adesso, il nostro sguardo era focalizzato su di lui. Non pensavo  che quell'uomo, quel GRANDE uomo sarebbe riuscito a cambiare la mia vita. Imprimendole  un cambiamento totale. Era un tipo strambo, bisogna ammetterlo, a scuola parlava di cose mai sentite, fino al suo arrivo combattere contro la mafia era stato un pensiero lontanissimo, ma non solo di pochi kilometri, ma di intere galassie. Dopo i suoi insegnamenti,  noi alunni cominciammo  a capire: c'era bisogno di una svolta; capimmo grazie alle sue parole, semplici ma dritte al cuore..ogni sua parola per me era sempre un insegnamento, un'occasione per imparare. Di solito, i professori di religione parlano di Dio, di Gesù, degli angeli, ma lui parlava di fatti concreti, della tragica situazione in cui ci trovavamo e di soluzioni. Vi e' mai capitato di non riuscire a risolvere un problema di geometria? Proprio non lo capivate, allora perché non chiarire i propri dubbi chiedendo aiuto alla prof, o anche ad un compagno? No, troppa paura, troppo imbarazzo, paura di parlare. Ecco, questa era la nostra situazione a Brancaccio: la gente aveva paura di parlare.

Un giorno sentii mio nonno parlare con dei signori, avevano delle catenelle d'oro al collo, baffi perfetti, la camicia sbottonata fino all'altezza del torace che lasciava intravedere qualche pelo qua e là, negli occhi avevano il fuoco ma nella mente e nel cuore avevano i soldi. Erano nello studio di mio nonno, Giovanna era a giocare in giardino, io ero appena tornato dalla parrocchia; avvicinai l'orecchio alla porta semichiusa e cominciai ad ascoltare ciò che dicevano. Mio nonno era abbastanza impaurito, i due uomini, invece, parlavano chiaro e tondo: se mio nonno avesse parlato o accennato qualcosa della discussione avuta con loro, allora avrebbero provveduto ad aggiustarlo e fecero un segno con la mano accarezzando velocemente la gola. Mio nonno, allora, deglutì, prese il respiro e pose l'ultima domanda: "Quindi, io devo semplicemente oppormi, convincendo anche gli altri, alla costruzione  della scuola nel vostro magazzino e fornirvi la droga da mettere nelle cassette delle arance?" Uno dei due fece cenno di sì con la testa abbozzando un ghigno di soddisfazione. Mio nonno era diventato complice. Non c'era più speranza, dovevo andarmene  da quel posto che prima o poi, come ha contagiato mio nonno, avrebbe contagiato  anche me e si diffonderà tra tutti i popoli come un'ondata di peste a cui non si riesce a trovare un vaccino. Lì, in quel preciso momento della mia vita presi la decisione più difficile e complicata che abbia mai dovuto prendere: lasciare la mia città e trasferirmi in un posto migliore.

Ora sono testimone di una realtà che continua a persistere ancora, parlare di mafia non fa l'effetto che dovrebbe fare. Si capisce veramente ciò che racconta chi l'ha vissuta sulla sua pelle solo quando la provi tu; la paura che ti assale e si blocca alla gola, creando un nodo difficilmente snodabile, la si può provare solo in momenti come questi, le parole che salgono lungo la tiroide e che si bloccano sulla punta della lingua per poi ricadere giù come un palazzo che crolla si possono sentire solo con una simile paura, la voglia di cambiamento  quando cambiare non si può si sente solo quando sei afflitto da una tale crudeltà, la voglia di uccidere con le tue stesse mani chi ti fa del male e chi riduce una povera cittadina in quelle condizioni sono tutte sensazioni che si provano quando hai a che fare con gente come loro: la mafia».

Cristina Loria

III C, I.C. A. Rosmini scuola media Anna Frank

Professoressa Rita Piperissa, anno 2013/2014

 

 

 

«Il rumore sul tavolo. Questo è il segnale. Papà è arrivato, lo capisco dal rumore  che fa sempre quando si siede e sbatte il pugno contro la tavola per avvisarmi che il capo è qui. Non voglio raggiungerlo,il momento del pranzo è straziante e non fa che alimentare  la mia rabbia: ogni volta che pranziamo papà mangia sempre da solo,in una tavola a parte, mentre io e "lei" mangiamo insieme. Si, "lei". Mia madre non ha più un nome,"non ne ha bisogno,non è importante per quello che deve fare lei per noi uomini d'onore" dice sempre il capo. La cosa che mi fa più arrabbiare è che mamma non dice mai niente, fissa il suo pranzo giocherellando con la forchetta,come se stessimo parlando  di qualcosa che non le riguarda e io, malgrado avrei un sacco di cosa da dire, sto sempre zitto, e vorrei scomparire. Appena raggiungo la cucina,mi tuffo nel piatto, oggi non ho voglia di parlare,potrebbe finire come ieri sera per il prete,e io ho ancora i lividi sulla schiena che bruciano come lava di un vulcano incandescente. Papà accende la televisione per ascoltare le ultime notizie, e io mi chiedo sempre perché lui non compare mai. E' un mafioso santo cielo, dovrebbe  essere ammanettato e sbattuto  in cella per tutto quello che ha fatto,ma nessuno ha il coraggio di dirlo. Vivo in una società di omertosi, che non mi appartiene, ma come sempre rimango zitto. -Adesso anche in televisione sto prete? Tutto il quartiere si sta facendo abbindolare da questo morto di fame, dovrebbe essere sbattuto  in cella per tutte queste false promesse.- dice lui appena lo vede comparire  al telegiornale. Osservo le immagini attentamente: bambini che finalmente giocano su un prato e non per strada,ci sono anche i miei amici, e provo un dolore indescrivibile per non essere li con loro. Non posso più trattenermi e butto su le parole -Sai papà, dicono che sta facendo bene alla comunità,aiuta molte persone, ne parlano bene anche i miei amici.- La goccia che ha fatto traboccare il vaso. Papà spegne la TV,smette di mangiare e mi lancia uno sguardo minaccioso e io vorrei solo scomparire -Devi starne fuori da queste cose. Sono tutte bugie,Domenico. Può fare bene secondo te un perdente  che da false speranze a questa povera gente? E se ti permetti ad avvicinarti a lui,i lividi non li avrai solo sulla schiena e ti caccio tutto,a cominciare dal motorino e sai che sono un uomo di parola.- dice alzando la voce sbattendo  ancora una volta il pugno sulla tavola e io annuisco, l'unica cosa che posso fare. Non ne posso più di questa vita,non  è mia, è strettamente legata da quell'essere che fa male alla gente. Non posso vivere così,oppresso dalla vita stessa. Vuoi togliermi il motorino? Peccato che morirà  con me».

Anna Laura Passero

III C, I.C. A. Rosmini scuola media Anna Frank

Professoressa  Rita Piperissa, anno 2013/2014

 

 

 «E’ importante parlare di mafia soprattutto nelle scuole per combattere contro la mentalità mafiosa che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo solo per i soldi».E’ proprio questa frase che viene messa a tema del film di Don Pino Puglisi .Io sono Domenico. Mio padre fa parte di  quelli che, come dice lui, camminano a testa alta:gli uomini d’onore. Mia madre invece è una casalinga. Vivo a Brancaccio. Ho conosciuto Don Pino mentre tagliava l’erba , lo fissai e poi decisi di aiutarlo. Andavo  lì ogni giorno e lui mi accoglieva sempre  a braccia aperte. Don Pino aveva una concezione di Brancaccio diversa da quella di mio padre. Lui desiderava che tutta la gente perbene potesse camminare a testa alta. Diceva di voler fare di Brancaccio una terra nuova, diversa e io lo ammiravo per questo. Ormai mi recavo in quella chiesa per seguire il suo progetto di vita per questa città e le persone che la abitano;volevo anche io dare il mio contributo. Un giorno mio padre  lo venne a sapere. Non capivo perché mi rimproverasse per questo, infondo, stavo solo dando una mano a chi ne aveva bisogno eppure mi privò di vederlo e di aiutarlo. Stavo male al pensiero di allontanarmi da quel posto che mi sembrava così innocuo . Ci tornai un’ultima volta e lui dopo che gli spiegai tutto con grande angoscia mi donò una collana come suo ricordo e io,tra le lacrime, riaccesi il mio motorino e me ne andai di corsa senza pensarci due volte. Anche questa volta però, nonostante ci andai per un addio, mio padre lo venne a sapere e non attese  neanche un minuto prima  di sfilare quella lunga cintura, di pelle nera, dura e dolorosa, della quale io ero estremamente terrorizzato. Non si fermava più. Era troppo doloroso non riuscivo più a sopportare tutto questo. Continuava,ed io ero costretto a subire senza poter aprire bocca. Non potevo più avvicinarmi a Don Pino, oramai ero sotto gli occhi di tutti .Solo un altro giorno mi ripresentai lì ,il giorno in cui decisi di mettere fine a tutto questo. Andai  per restituirgli la catenina che mi aveva regalato. Anche quel giorno tra le lacrime riaccesi il motorino e me ne andai via. Tornato a casa avevo già preso la mia scelta. Dovevo andarmene da quel posto, dovevo abbandonare tutto e andare via. Lontano da mio padre, lontano da Brancaccio e da  tutto ciò che faceva , di quella città, una vera crudeltà fatta di mafia, aggressioni e violenze  per chi,come Don Pino, voleva creare un clima di pace e serenità basandosi sulla chiesa e su Dio. Mio padre mi fissò a lungo per aspettare che scendessi in città per fare una sua commissione  e io gli dissi:«vuoi sapere una cosa papà?, a questo motorino bisognerebbe truccargli il motore, per farlo andare più forte». Quelle furono le mie ultime parole. Presi la rincorsa e andai dritto sempre dritto,dritto oltre il recinto,  dritto oltre la montagna poi smisi di volare e caddi giù ,nel nulla. Non sentii più niente se non il mio corpo sollevarsi e scontrarsi contro un’ immensità di rocce rivestite da erba verde. Ricorderò sempre tutto di Don Pino e dei suoi insegnamenti. Lui non si faceva intimorire da nessuno, andava avanti anche se sapeva di andare in contro alla morte. Sfidava anche i più forti per salvare quella città dalla cattiveria trasformandola dal buio della notte alla luce del sole.

Giuditta Carvelli

III G, I.C. A. Rosmini scuola media Anna Frank

Professoressa Gerace Raffaela, anno 2013/2014

 

Non agire e' come  morire

«Non parlo mai,non ho il coraggio di esprimere le mie opinioni e i miei sentimenti che esplodono dentro..di me provocandomi una sofferenza indescrivibile. Non ho mai una voce in capitolo ma sono uno sfondo muto che sa solo cucinare,lavare e stirare. Temo mio marito più di ogni altra cosa,non so neanche se lo amo,ma anche se lo amassi,a chi interesserebbe. Amo mio figlio Domenico più di ogni altra cosa ma non glielo ho mai detto .Non sono soddisfatta di me stessa. Un giorno mio marito lo ha frustato con la cintura solo perché era andato in chiesa. Quanto avrei voluto strappare quella maledetta cintura dalle mani di mio marito,invece,piangendo,ho acceso il frullatore per non sentire le grida di dolore di Domenico.Sono una persona orribile. Nel nostro paese si è da poco trasferito Don Pino Puglisi, il nuovo parroco;parlano già tutti male di lui,ma io sono convinta che sia una brava persona. Mio marito ha vietato a Domenico di andare in chiesa ma,se conosco mio figlio, non lo ascolterà e, in tutta onestà, mi auguro che si allontani il più possibile da noi. La mia empatia verso Don Pino Puglisi si è rivelata fondata,.è proprio una brava persona,.ha riunito molti giovani e ragazzini del quartiere facendoli divertire, ballare e cucinare. Ha chiamato anche tre suore ed un viceparroco in suo aiuto. Mi piacerebbe essere suora........ almeno sarei fiera di me stessa e delle mie azioni benefiche.

Mio marito, di punto in bianco ,una domenica, ha deciso di andare in chiesa;penso che la mia bocca abbia accennato un sorriso, sempre se ricordo ancora come fare. Ho avuto subito qualche sospetto ma, come al solito,non ho detto niente. Un pomeriggio Domenico è tornato a casa in lacrime, mio marito lo ha visto ma,invece di consolarlo,gli ha ordinato di andare a prendere la droga in garage. successo sicuramente qualcosa perché Domenico ha preso il motorino  di suo padre,lo ha acceso e,sfondando la staccionata,si è buttato nel vuoto. Appena lo ho visto mi sono precipitata verso di lui gridando "nooooooooooo", ma era troppo tardi,il mio bambino rimarrà piccolo per sempre. Stupida, codarda sono stata, potevo fare qualcosa prima, ma non ho fatto niente,.stupida, codarda sono stata e questo non me lo perdonerò mai. Dopo qualche giorno ho scoperto che Don Pino Puglisi era morto,ucciso dalla mafia,tutti hanno visto la scena,ma nessuno è sceso in strada per soccorrerlo. Pover'uomo in che paese è capitato!!»

Marta Corrado

 III C, I.C. A. Rosmini scuola media Anna Frank

Professoressa Rita Piperissa, anno 2013/2014

 

“Un incolmabile vuoto”

«Penso che la perdita di un figlio  sia un vuoto incolmabile. Soprattutto se si parla di Domenico, mio figlio,di cui desideravo con tutto il cuore un futuro migliore,mio figlio, per cui avrei dato la mia stessa vita pur di non farlo diventare una bestia. Si, i mafiosi sono delle bestie affamate che mangiano la vita di persone oneste, persone come Don Pino Puglisi. La ricordo ancora l'ultima frase  di Domenico, forse sarà l'unica cosa che ricorderò per sempre, fin quando sarò convinta che mio figlio sarebbe potuto essere qualcuno, quel qualcuno che avrebbe messo fine ai soprusi della mafia, e che avrebbe fatto avere un futuro migliore a questo quartiere. Le sentivo quelle frustate, dentro al cuore, si ripetevano sempre, senza cessare fino a che mio marito,suo padre,se tale lo si può definire, non aveva le braccia stremate. Non riuscivo a parlare. Piangevo. In quei momenti era l'unico modo per comunicare, ma solo con me stessa. Non riuscivo nemmeno a fermare mio marito. La vedevo l'espressione di Domenico,sembrava un cucciolo indifeso. Non provava nemmeno a reagire, mi chiedevo sempre il perché, ma fino alla fine né io,né lui lo abbiamo mai fermato. La notizia della morte "du Parrino" arrivò subito. E fu proprio in quell'istante che capii che non meritavamo più di stare  in quel tunnel oscuro. Io e Domenico eravamo diversi. Io e lui, insieme, potevamo sconfiggere tutto e tutti. Non temevo più nessuno. La paura c'era, ma in quel momento non serviva a nulla. Aspettavo con ansia l'arrivo  di Domenico,era l'occasione giusta per scappare, per essere felici,per avere una vita serena,quella che desideravamo tanto. Sentii il rumore della marmitta. Era Domenico. Lo guardai mentre parlava col padre in una maniera diversa dalle altre volte. Era la prima, vera volta, in cui mio figlio provò a ribellarsi, consapevole di essere diventato un uomo diverso dal padre. Orgogliosa lo guardavo. Ero felice,ma quella sensazione cessò immediatamente. Iniziò ad accelerare, la marmitta faceva fumo, troppo, non riuscivo più a vedere chiaramente. Penso sia stato  un bene. Avrei voluto precipitare anch'io in quella valle con lui... ma non lo feci. Me ne pento ancora,ho un rimorso incolmabile. Ma forse  lui non avrebbe voluto. Perciò, da quel giorno, ho pianto e pregato,perché in quel periodo solo Dio poteva aiutarmi. Ho immaginato la morte  di mio figlio  milioni di volte, ma non sono mai riuscita ad accettare quella realtà».

 

Maria Francesca Condello

III C, I.C. A. Rosmini scuola media Anna Frank

Professoressa Rita Pieprissa, anno 2013/2014