29 April 2024

L’ultimo imperatore
Carlo d’Asburgo, una vita votata alla santità

Benedetto Croce, nella sua “Storia d’Italia (1871-1915)” edita da Laterza nel ‘66, così scriveva di alcuni sentimenti dell’Italia postunitaria: “…ogni chiudersi di periodo storico è la morte di qualche cosa, ancorché cercata e voluta e intrinseca all’opera chiaramente disegnata ed energicamente eseguita; e, come ogni morte, si cinge di rimpianto e di malinconia”.

Difficile non rimeditare le parole del grande filosofo e storico aquilano dinanzi alle parole appassionate che il giovedì pomeriggio sono rimbalzate tra le pareti del Bastione Toledo, a Crotone, in occasione della presentazione della 2° ristampa di “Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia del beato Carlo d’Asburgo”, per i tipi della nuovissima “D’Ettoris Editori”, promossa dalla Fondazione “D’Ettoris”, dalla biblioteca “Pier Giorgio Frassati” e patrocinata dalla Regione Calabria.

Più che una biografia, è l’agiografia scritta a quattro mani da Oscar Sanguinetti, direttore dell’Istituto storico dell’Insorgenza e per l’identità nazionale di Milano, e dallo storico piacentino Ivo Musajo Somma, dell’ultimo imperatore austro-ungarico (Carlo I d’Austria e IV re apostolico d’Ungheria tra il 1916 e il 1918) sulla base degli atti del processo di beatificazione che ha proclamato quest’uomo “esemplare come cristiano, marito, padre e sovrano” (cardinale José Saraiva Martins) prima venerabile, il 12 aprile 2003, e poi santo il 3 ottobre 2004 da Giovanni Paolo II. E quindi, non di opera storica propriamente si tratta, quanto di un’operazione di recupero, da parte della cristianità cattolica – in particolare di Comunione e Liberazione e Alleanza Cattolica – di quelle radici cristiane (qui forse troppo forzatamente ricercate nelle qualità di pacifista portastendardo di Benedetto XV, federalista ante litteram ed estremo custode del Sacro romano impero dell’asburgo) del continente Europa negate nella ratifica della recente Costituzione europea. Come ammette lo stesso Sanguinetti nella sua Premessa al libro quando dice: “le testimonianze processuali non sono ancora […] quell’ “oggetto del desiderio” dello storico, rappresentato dai documenti, dai diplomi, dai codici, dalle lettere, dalle carte, dalle immagini e dai reperti. Per mettere a fuoco definitivamente […] la persona di Carlo e le sue gesta occorrerebbe leggere i suoi atti di governo, le sue lettere private, i suoi diari – se ve ne sono -, i suoi appunti, i suoi ordini di servizio e di battaglia da lui firmati, i suoi discorsi” (pp. 18-19). Così come la tesi, sia pure ipotetica, di un complotto massonico franco-anglo-italiano sulla fine dell’Impero asburgico ripetuta dai relatori è un po’ deboluccia, in quanto non suffragata da documenti storicamente validi.

Per tornare alle parole di Benedetto Croce, quando si chiude un periodo storico, è inevitabile che la mente vada ai ricordi e il cuore al rimpianto e alla malinconia. Perché anche il nostro ultimo re “meridionale” era quel Franceschiello II discendente di Carlo, duca di Parma e Piacenza e in seguito re di Napoli e di Sicilia ch’era un epigono diretto di Filippo V di Borbone (duca d’Angiò): ossia il parente stretto “di una dinastia che ha guidato l’impero cristiano d’Occidente per quasi settecento anni” (Marco Invernizzi, prefazione). Qualche malinconia anche in casa nostra, dunque, come diceva  il grande vecchio? Tina D’Ettoris, che ha presentato il libro ed ha coordinato i vari interventi, ha detto: “Quando ho letto le bozze del libro, sono rimasta sconvolta dalla figura del santo imperatore: un uomo così completo e devoto che si augurava la morte dei figli [otto in tutto] piuttosto che cadessero in peccato” – un po’ come le nostre madri: meglio una febbre fulminante che la galera”. Come il Sanguinetti che, dopo un breve excursus storico sulle ultime vicende di un Impero “florido” (economicamente, socialmente e culturalmente) distrutto dall’imperversante intrigo massonico-giacobino e di un eroico Carlo I che, genuflesso davanti all’immagine della Madonna “dal capo inclinato”, fa la guerra per la pace, sollecitato dalla D’Ettoris confessa: “Anch’io, quando mi sposai, come lui ho fatto incidere nelle fedi nuziali l’inizio dell’antica preghiera mariana Sub tuum praesidium”. O come il giovane Somma, che vede nella fine dell’Impero il fallimento del progetto “illuminato” di riforma di uno Stato “multietnico e mitteleuropeo su basi federaliste”. Ma soprattutto sono le parole amare di Giuseppe D’Ettoris contro una classe politica locale (completamente assente intorno all’ospite d’onore: l’Arciduca Martino d’Asburgo, diretto discendente dell’utlimo imperatore) “ che non capisce l’universalità della cultura e il fatto che già molto tempo fa gli Asburgo, che furono duchi di Parma e di Piacenza, profusero la cultura della cooperazione in Emilia Romagna” a pizzicare le corde dello spleen postunitario e gattopardesco.

L’Arciduca dal canto suo, assolutamente ieratico e distaccato, commenta alla fine: “I santi non sono persone che sono vissute 1000 o 1500 anni fa: essi vivono tra noi. Ed uno di questi fu il nonno, che ha messo al centro delle sue decisioni più importanti la fede”.

L’imperatore santo morirà a Madera, luogo del suo esilio, il 1° aprile del 1922: senza più “giovanili struggimenti di desiderio e divampanti ardori per un ideale nuovo e alto […]; non più gare generose e rinunzie ai propri concetti particolari per raccogliersi in un fine comune, e accordi taciti o aperti di repubblicani e di monarchici, di cattolici e di razionalisti, di ministri e di rivoluzionari, di re e di cospiratori […]. Molti sentivano che il meglio della loro vita era stato vissuto; tutti dicevano (e disse così anche il re), in uno dei discorsi della Corona) che il periodo eroico […] era terminato e si entrava in quello ordinario, del lavoro economico, e che alla poesia succedeva la prosa” (B. Croce, ibidem). Tanto toccò all’Italia, che da divisa si unì, e poi all’Austria, che da coacervo di ben 11 etnie e nazioni diverse si ridusse ad unum: comunque libere democrazie in un’Europa imperfetta, ma pure indipendente e laica.

Pino Pantisano

Fonte: 

Il Crotonese. 23-25 novembre N.91

Anno: 

2004